Anonymous: la risposta degli hacker all’invasione russa dell’Ucraina

Una persona camuffata dal protagonista di V per Vendetta, una voce filtrata e monocorda, le parole We are legion. We do not forgive. We do not forget. Expect us: per quanto anonima, la comunicazione di Anonymous – così come la sua etica – è sicuramente coerente con se stessa.

Di solito, chi compie un attacco informatico non se ne vanta alla luce del sole, ma il collettivo di hacker più famoso al mondo non ha mai nascosto le sue responsabilità e, a seguito dell’escalation di violenze che ha portato all’invasione dell’Ucraina, ha dichiarato “ufficialmente” guerra al governo russo nientemeno che con un Tweet.

 

Dopo questo cinguettio e un video in cui un Guy Fawkes esamina la situazione nell’Europa dell’Est, il collettivo ha rivendicato diverse azioni, tra cui la diffusione di documenti riservati e l’assalto a siti governativi russi con una serie di attacchi DdoS – un modo per generare su un sito un traffico talmente alto da rendere qualsiasi servizio inaccessibile per le troppe richieste. I siti ufficiali del Cremlino, della Duma, del ministro della difesa… l’ambizione e la portata degli attacchi di Anonymous sembrano non conoscere limiti. Sono stati hackerati persino canali tv come Russia Today, con il risultato di mostrare, direttamente nei salotti dei cittadini russi, canzoni patriottiche ucraine e scene dal fronte. Certo, si tratta di azioni più che altro simboliche, ma che potrebbero portare a un indebolimento della macchina della propaganda russa.

Per quanto la natura stessa di Anonymous – ramificata e senza una direzione definita – renda difficile un’attribuzione certa, il suo passato rende quanto meno credibile che azioni di questa portata possano essere state effettivamente compiute dalle sue legioni di hacker. Nel corso della sua storia, infatti, il collettivo si è scagliato contro i canali della Casa Bianca, dell’ISIS, del governo israeliano, di Scientology e numerosi altri.

Al contrario, ad oggi non si è parlato un granché delle attività di cyber-attacco nei confronti dell’Ucraina, nonostante i timori, alla vigilia dell’invasione, di una guerra informatica parallela a quella reale, e nonostante diversi siti, come quello del ministro della difesa ucraino, abbiano effettivamente subito attacchi DDoS. È probabile che, in modo del tutto comprensibile, gli attacchi informatici siano stati oscurati da quelli reali, in una guerra di cui, a ormai settimane dall’inizio, purtroppo non si riesce a vedere una fine. E ciò nonostante l’utilizzo della tecnologia e il riflesso del conflitto sulle tecnologie utilizzate sia in Russia che in Ucraina è più che evidente: il governo russo, ad esempio, ha imposto diverse restrizioni all’utilizzo di Facebook e YouTube dopo aver accusato i social network di censura. Zuckerberg e Pichai, del resto, sono in buona compagnia: Elon Musk sta fornendo un accesso a internet tramite il suo satellite Starlink, mentre il governo ucraino cerca apertamente il supporto di chiunque voglia donare attraverso criptovalute.

E gli ambiti in cui la tecnologia sembra rivoltarsi alla Russia di Putin non finiscono qui: nonostante, negli ultimi anni, il colosso sovietico sia più volte ricorso alla diffusione di fake-news per consolidare il proprio dominio interno o danneggiare paesi rivali, sembra proprio che questa volta l’impresa di oscurare la guerra sia più difficile del previsto. Per legittimare le azioni russe, dall’inizio del conflitto sono stati messi in campo sforzi straordinari: dalla nuova legge che prevede fino a quindici anni di carcere per i giornalisti che affrontano l’argomento, al blocco di Facebook e Twitter, fino alla definizione orwelliana di “operazione speciale” per definire l’aggressione. Ma non basta ancora. Tra Telegram, TikTok e innumerevoli altri canali, le notizie sfuggite tra le maglie della censura si moltiplicano di giorno in giorno.

Autore:

Matteo Candeliere