Musica e NFT: una rivoluzione degna di nota.

Se pensate che gli NFT siano un fenomeno legato esclusivamente all’arte digitale e che quindi siano riconducibili a come CryptoPunks, Bored Apes, Beeple e compagnia bella, beh, vi state sbagliando.

Gli NFT – o altrimenti detti token non fungibili – sono stati sviluppati per un’ampia gamma di applicazioni: arte digitale, ok, ma anche biglietti per eventi, beni di lusso, proprietà immobiliari, e chi più ne ha più ne metta.

Ma c’è un settore in particolare che, grazie agli NFT, potrebbe essere protagonista di una vera e propria rivoluzione: stiamo parlando del mondo della musica.

Tanto per cominciare, canzoni, album, musica, testi e soundbit possono essere tutti trasformati in NFT. Per fare solo un esempio, l’anno scorso i Kings of Leon sono diventati la prima band a pubblicare un album – When you see yourself – su blockchain.

L’album è stato pubblicato come NFT a marzo 2021, insieme a una copertina animata e un vinile in edizione limitata. Coloro che hanno acquistato il pacchetto per 50 dollari hanno preso parte automaticamente a una lotteria per vincere posti per concerti VIP e altri vantaggi. E sapete quanto hanno ricavato dalla vendita? Ben 2 milioni di dollari, 500.000 dei quali sono stati donati in beneficienza.

Altro fenomeno interessante è quello che vede la musica interagire con l’arte digitale, come nel caso del collettivo Lostboy, che su OpenSea ha creato una collezione di 10.000 personaggi diversi, ognuno dei quali è collegato a un breve loop musicale. I 10.000 Lostboy sono stati messi in vendita ad un prezzo base di 0.05 ethereum e hanno generato un volume complessivo di 748 ethereum (anche in questo caso, alle quotazioni odierne, stiamo parlando di circa 2 milioni di dollari).

Ma uno degli aspetti più significativi relativi a musica e NFT riguarda i compensi ai musicisti. Come riporta Fortune, la tipica suddivisione delle entrate totali è 50/50, con solo il 50% delle entrate che va al creatore/musicista, mentre il restante 50% è diviso tra agenti, avvocati e distributori. La realtà è ancora più cupa quando si tratta di musicisti che distribuiscono i propri contenuti tramite servizi di streaming: la maggior parte dello 0,8% dei migliori artisti di Spotify guadagna meno di 50.000 dollari.

Da questo punto di vista, gli NFT hanno il tutto il potenziale per garantire che i musicisti siano più equamente compensati per il loro lavoro.

Basta prendere a titolo di esempio un singolo caso, quello di Steve Aoki, uno dei più famosi DJ del mondo, per capire la portata di questa rivoluzione. Il buon Steve ha dichiarato di aver guadagnato di più dalla vendita di una serie di NFT che dai ricavi di 6 album prodotti nell’arco di 10 anni di attività musicale. Giusto per rendere l’idea, un singolo NFT – uno solo, eh, non un’intera collezione – è stato venduto sulla piattaforma Nifty Gateway alla cifra monstre di 888.888,88 dollari. Non male, rispetto alle briciole generate da Spotify.

Se le ragioni per un fruttuoso rapporto tra musica e NFT sembrano essere abbondanti, chiudiamo questo breve ma intenso excursus parlando di scarsità. Anche in ambito musicale, più la disponibilità di un prodotto è limitata, più è esclusivo e raro, maggiore è la sua capacità di attrarre i fan e più alto è il suo valore. C’è un fascino, un’emozione particolare nel possedere qualcosa di limitato ed esclusivo.

L’industria musicale vive di esperienze uniche e rare per i fan: pass per il backstage, fan club, oggetti da collezione e altre risorse limited edition.  Ebbene, gli NFT permettono ai musicisti di capitalizzare gli appelli alla scarsità in modalità sorprendenti e innovative e, d’altra parte, consentono ai fan di godere di nuove opportunità per sviluppare connessioni più profonde con i loro musicisti preferiti.

Autore:

Alessandro Scali