Quando mi è stato chiesto di scegliere un tema per un articolo del blog di Tembo, non ho avuto dubbi: da possessore e utilizzatore entusiasta di un Oculus Quest 2, non potevo che parlare di Virtual Reality, l’ultima frontiera sul piano ludico mondiale.
L’industria della Realtà Virtuale, nonostante proponga un concetto non propriamente “nuovo” (nel 1968 Ivan Sutherland, con l’aiuto di Bob Sproull, creò quello che è considerato il primo visore di realtà virtuale, “The Sword of Damocles”), ha visto in questi anni una crescita sostanziale sia sul piano economico che tecnologico.
Oculus VR, grazie a una campagna Kickstarter, ha portato al grande pubblico l’ormai storico Oculus Rift nel 2016, imponendosi come leader di settore per le tecnologie VR (non a caso il caro Zuckerberg ha avuto la lungimiranza di acquisire la società già nel 2014).
Dal 2016 a oggi la tecnologia si è evoluta e diversi player sono entrati in competizione con Oculus, di fatto rendendo questa tecnologia più accessibile (sul piano economico) agli appassionati di tutto il mondo.
Gli ultimi anni sono stati a dir poco problematici: il distanziamento, la solitudine, la paura, la rabbia e la confusione più totale hanno stravolto le vite di milioni di persone.
Per provare a rendere un po’ più leggeri i lunghi mesi di quarantena, le aziende tecnologiche hanno sfoderato soluzioni di tutti i tipi, seppur quasi sempre insufficienti ad arginare il senso di alienazione che questo periodo ha portato con sé. E ovviamente l’industria VR non ha tardato a far sentire la sua voce.
Quale miglior tecnologia per far “stare insieme” le persone ognuna da casa propria?
La frustrazione va sfogata in qualche modo: le persone hanno bisogno di qualcosa che le faccia rilassare, divertire e non pensare ai problemi quotidiani.
Nel mio caso, ciò che mi permette di non rincorrere le persone con un’ascia per tutto l’Overlook Hotel sono i Videogames e dunque non potevo farmi scappare l’occasione di provare questo “fenomeno”.
Sin da piccolo il mio sogno è stato quello di entrare in uno di questi fantastici mondi immaginari e di poter superare i limiti del mio corpo (non propriamente atletico, quindi era un compito abbastanza facile).
Dunque, alla prima occasione, sono diventato un orgoglioso possessore di un visore VR per immergermi completamente in un mondo virtuale.
La sensazione che ho provato quando ho indossato un visore VR per la prima volta è una delle più strane della mia vita.
Poter interagire con un ambiente totalmente “alieno” attraverso le mie mani virtuali e potermi muovere in totale libertà senza i vincoli di un joypad, un mouse o una tastiera è stata una sensazione quasi onirica.
Il mio cervello è stato totalmente ingannato dagli stimoli sensoriali che il visore gli ha proposto: l’audio a 360°, i feedback aptici sui controller quando urti o ti scontri con un oggetto, la possibilità di girare la testa e vedere tutto intorno a me.
Per tutta la mia prima sessione, durata circa un’ora e mezza, ho creduto di vivere dentro quei mondi ed essere parte attiva di quel sistema.
Purtroppo il coinvolgimento inizia a scemare dopo un certo numero di sessioni o quando l’esperienza non è di buon livello: meno attenzione gli sviluppatori dedicano ai dettagli, più si sente la realtà bussare alle porte del proprio cervello.
Ci si inizia a rendere conto che ciò che si ha davanti non è reale perché non ha consistenza, non ha odore, non risponde come vorremmo alle nostre azioni.
E avere sulla faccia un visore, che con il suo peso non indifferente tende, a lungo andare, a provocare dolore sul viso o sulla testa, e per le mani dei controller, non aiuta certo a raggiungere un coinvolgimento totale.
Tra le varie proposte ci sono anche quelle definite “Social Network”. Solitamente si tratta di Hub virtuali dove è possibile incontrare degli Avatar guidati da altre persone con un visore.
L’interazione con gli altri è semplice e molto naturale: ci si può avvicinare alle persone, si possono avere conversazioni, svolgere attività come riunioni, guardare filmati, assistere a concerti. Tutto dal salotto di casa propria.
Basta scegliere che faccia e che vestiti si vorrà avere per creare il proprio alter ego ed entrare in un mondo pieno di giocatori pronti a interagire con noi.
La socialità è facilitata dalla consapevolezza di essere in un luogo sicuro dietro a un visore e l’interazione con gli altri è spesso sopra le righe e guidata dal senso prettamente ludico che il mezzo propone. In effetti, in questi Hub è molto comune vedere persone di diversa età e provenienza parlare degli argomenti più disparati o partecipare a giochi anche banali come passarsi una palla o lanciarsi degli oggetti.
L’aspetto controverso di tutto ciò è proprio l’abbattimento totale delle barriere sociali: davanti a sé, anziché persone in carne ed ossa, si hanno degli Avatar che sono li divertirsi e socializzare esattamente come chiunque altro. Non esiste il vecchio o il giovane, il ricco o il povero, non ci sono limiti di decenza o di educazione.
Si è lì, e si fa quel che ci viene in mente.
Non ho le basi per analizzare nel dettaglio tutto questo da un punto di vista socio-psicologico (questo fenomeno sarà, già ad oggi, sicuramente oggetto di numerosi studi), e mi limiterò dunque a quelle che sono le mie personali considerazioni in merito.
Penso che la possibilità di accedere a questo tipo di esperienze, con un tale tasso di immersività, cambierà sul lungo periodo il rapporto tra persona e realtà.
Più questa tecnologia evolverà, più la differenza tra “reale” e “virtuale” andrà ad assottigliarsi, e la componente umana in questa delicata equazione si sposterà sempre di più sul piano dello spettatore attivo.
Credo che l’artificiosità dei rapporti umani che propone il VR comporterà, per qualcuno, un ulteriore ostacolo allo sviluppo della propria identità individuale come persona tra persone. Di conseguenza sarà sempre più difficile scindere tra “giusto” e “sbagliato”, tra “reale” e “finzione”.
Come posso considerare un’azione come sbagliata se sto solo giocando a qualcosa che non è reale? Come faccio a sapere che dietro a un mucchio di pixel ben modellati c’è una persona in carne ed ossa se quel che vedo è qualcosa di intangibile?
Come prevedibile, si è infatti presto iniziato a parlare di “molestie” anche nel Metaverso: a Dicembre una donna ha denunciato di esser stata “virtualmente palpeggiata” durante una sessione su VR Horizon Worlds di Meta.
No, il mio non è un discorso moralista, non voglio che questo discorso venga paragonato al classico “I Videogiochi fanno diventare violenti i bambini”. Personalmente vedo la tecnologia del VR come un’opportunità unica nel suo genere, da qualsiasi angolazione la si guardi.
Quel che credo è semplicemente che sarà difficile, soprattutto per noi, educare le generazioni che nasceranno con a disposizione questa tecnologia a sfruttare al meglio quest’opportunità.
Come ogni novità, anche il VR porta con sé degli ostacoli da superare: ci si deve abituare ai nuovi mezzi, imparare a usarli e a gestirli, ma prima che ciò accada, credo che qualcuno “si farà male”, e spero solamente che si riuscirà il più possibile a contenere questi problemi e si impari alla svelta dai propri sbagli.